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Attraverso il binocolo, Austin aveva osservato Skye salire a bordo dell'auto, e aveva seguito il veicolo mentre si arrampicava sul fianco del ghiacciaio fino a scomparire dietro gli alberi. Era stato come se la terra l'avesse inghiottito. Mentre si lasciava andare contro il parapetto del battello, il suo sguardo fu attirato dalla Langue du Dormeur. Con la sua mole screziata sovrastata su entrambi i lati dalle vette brune, il ghiacciaio richiamava alla mente il pianeta Plutone. Il sole che scintillava sulla superficie non riusciva ad attenuare le ondate di gelo che si levavano per avventarsi sulla piatta distesa del lago.
Ripensando alla teoria di Skye secondo la quale le carovane, percorrendo la Via dell'Ambra, sarebbero transitate lungo la riva del lago, cercò di mettersi nei panni degli antichi viaggiatori e si chiese che effetto faceva loro un fenomeno naturale mastodontico e implacabile come il ghiacciaio.
Con tutta probabilità lo consideravano una creatura degli dei, che andavano quindi placati. Forse la tomba sommersa aveva qualcosa a che fare con la massa di ghiaccio; era ansioso di esplorarla. Ci sarebbe voluto poco a calare il sommergibile e andare a farci un giretto da solo, ma lei non lo avrebbe mai perdonato. E non poteva darle torto.
Decise di controllare la navicella in modo che fosse pronta al ritorno di Skye. Mentre verificava meticolosamente il SEAmobile, gli sembrò di riudire la voce del padre raccomandargli di non trascurare neppure il minimo dettaglio. Facoltoso proprietario di un'impresa di recuperi marittimi a Seattle, l'uomo gli aveva insegnato le regole base della navigazione, aggiungendo un paio di consigli d'oro: mai fare un nodo che non si possa sciogliere con una tiratina alla cima anche nel caso quell'ultima fosse bagnata, e tenere sempre il proprio mezzo in ordine perfetto.
Austin aveva preso quelle parole alla lettera. Grazie a una pratica costante, aveva imparato a fare nodi che non s'impigliavano mai, ad accertarsi che le cime sul barchino costruitogli dal genitore venissero arrotolate ordinatamente e le parti metalliche lustrate a dovere perché fossero protette dalla corrosione. Aveva tenuto a mente quei consigli anche durante il college. Mentre si preparava per ottenere il master in management dei sistemi presso l'università di Washington, aveva frequentato una scuola sub molto quotata a Seattle, dove si era guadagnato il brevetto in numerose specializzazioni.
Ottenuta la laurea, dopo un paio di anni di attività nel campo delle trivellazioni petrolifere nel mare del Nord, era tornato a occuparsi dell'impresa di recuperi marittimi del padre per sei anni, prima di entrare a servizio del governo arruolandosi in una semisconosciuta sezione della CIA specializzata nella raccolta d'informazioni relative alle acque degli oceani. Al termine della guerra fredda, quando la CIA aveva chiuso la piccola sezione investigativa, era passato alla NUMA.
Amante com'era della filosofia, con la sua ricerca di verità e significati nascosti, Austin sapeva che i consigli del genitore andavano ben oltre le mansioni pratiche associate alla conduzione di una barca. Con parole semplici, suo padre gli aveva parlato della vita, della necessità di essere sempre pronti a fronteggiare l'imprevisto. Un suggerimento che aveva preso molto seriamente: in più di un'occasione l'attenzione ai dettagli aveva salvato la pelle a lui e a chi gli stava accanto.
Controllate le batterie e assicuratosi che i serbatoi dell'aria fossero stati sostituiti con altrettanti nuovi, passò a esaminare con occhio critico la navicella. Soddisfatto dell'ispezione, tamburellò con le nocche contro la cupola trasparente. «Mezzo in ordine perfetto», mormorò con un sorriso.
Smontò dal sommergibile sulla coperta della Mummichug. Con i suoi due scafi gemelli, il ventiquattro metri era il battello da ricerca più piccolo della NUMA sul quale avesse operato. A suo agio in acqua sia dolce che salata proprio come il pesciolino dal quale aveva preso il nome, la Mummichug era la versione modificata di un battello progettato per le attività costiere nelle difficoltose acque lungo il litorale del New England.
Stabile e scattante, alimentata da potenti motori diesel che le consentivano di raggiungere una velocità di crociera di venti nodi, aveva otto posti letto ed era ideale per le missioni brevi. Nonostante le dimensioni ridotte, i verricelli della Mummichug e la sua forma ad A permettevano di sollevare carichi pesanti. E poi, un battello più grande non sarebbe mai riuscito a superare le serpeggianti anse del fiume sino al ghiacciaio.
A mal partito senza Skye con la quale chiacchierare, Austin andò a prendere una tazza di caffè nella cucina di bordo prima di scendere nella stazione di telerilevamento, un vano angusto stipato di monitor fissati ai tavolini. In miniatura come ogni altra cosa a bordo, il laboratorio era tuttavia dotato di gangli e terminazioni in grado di collegarlo a un assortimento di sofisticati strumenti di rilevazione.
Lasciatosi cadere su una sedia di fronte a uno dei monitor, Austin bevve un sorso di caffè mentre richiamava un file sullo schermo del sonar a scansione laterale. Il professor Harold Edgerton aveva precorso i tempi quando, nel 1963, aveva montato un trasduttore sonar sulla fiancata anziché sul fondo della sua imbarcazione da ricerca; la scoperta, che consentiva ai mezzi di navigazione di superficie di ispezionare vaste aree di fondale, avrebbe rivoluzionato le tecniche d'investigazione subacquea.
All'arrivo della Mummichug sul lago, Skye aveva richiesto una perlustrazione della riva opposta al ghiacciaio, formidabile ostacolo per le potenziali carovane del passato. Si era detta che probabilmente i viaggiatori si soffermavano vicino al fiume per prepararsi ad affrontarne il guado, ed era plausibile che avessero stabilito un insediamento nelle vicinanze. Il corso d'acqua medesimo poteva essere stato un tramite nell'ambito dei commerci della Via dell'Ambra.
Durante la missione del sommergibile sott'acqua, il battello aveva continuato a scandagliare il perimetro del lago con il sonar, e quindi Austin voleva verificare i risultati di quell'operazione. Sullo schermo apparvero le immagini del sonar ad alta risoluzione e al rallentatore, calando dalla sezione superiore del monitor come cascatelle color ambra. Sul lato destro del display spiccavano latitudine, longitudine e posizione.
Pur richiedendo un occhio esperto, l'interpretazione delle immagini sonar non era certo un'occupazione esaltante, e il fondo piatto e ghiaioso del Lac du Dormeur era più monotono che mai. Mentre il livello di concentrazione scemava, Austin sentì le palpebre abbassarsi impercettibilmente, ma le riaprì di scatto non appena un'anomalia catturò la sua attenzione. Tornato sull'immagine, si chinò in avanti per esaminare la croce scura impressa sullo sfondo uniforme; un clic del mouse gli consentì di zumare sulla forma mettendone in risalto i particolari.
Quello che aveva davanti agli occhi era un aereo, si disse. Riusciva persino a distinguerne la cabina. Un clic sull'icona, e dopo qualche istante un foglio prese a uscire dalla stampante. Studiò l'immagine sotto una luce più forte. Parte di un'ala sembrava mancare. Si alzò diretto verso la porta, quando François irruppe nel laboratorio con aria visibilmente agitata.
Scomparso il solito sorriso imperturbabile, l'osservatore francese sembrava aver appena scoperto il crollo della torre Eiffel.
«Deve venire subito sul ponte, monsieur Austin.»
«Che c'è?»
«Si tratta di mademoiselle Skye.»
Austin sentì una morsa allo stomaco. «Che le è successo?»
Investito da un incomprensibile fiume di parole in francese frammisto a inglese, Austin scansò con un gesto l'uomo balbettante e si lanciò verso il ponte salendo due gradini per volta. Nella timoniera, il comandante stava parlando alla radio. «Attendez», esclamò, non appena scorse Kurt, e allontanò il microfono dalla bocca.
Il comandante Jack Fortier, un franco-canadese dalla costituzione esile, aveva preso la cittadinanza americana per poter lavorare con la NUMA. La sua conoscenza del francese si era rivelata spesso utile nel corso della spedizione. I locali ridevano talvolta alle sue spalle per il forte accento del Quebec, ma Fortier aveva confidato ad Austin di non dare alcun peso a quelle prese in giro, dal momento che la sua parlata era pura, non inquinata da alcun dialetto regionale come accadeva in Francia. Sapendo che c'erano ben poche cose capaci di scuotere il comandante, Austin si meravigliò nel vederlo aggrottare le sopracciglia con aria preoccupata.
«Che è accaduto a Skye?» gli chiese, andando subito dritto al punto.
«Sono in linea con il sovrintendente della centrale elettrica. Dice che c'è stato un incidente.»
Austin sentì un brivido gelido lungo la schiena. «Che tipo d'incidente?»
«Skye e altra gente erano in un tunnel al di sotto del ghiacciaio.»
«Che ci faceva, laggiù?»
«Vi si trova un osservatorio nel quale gli scienziati studiano il movimento del ghiaccio. Fa parte di un sistema di gallerie costruito dalla compagnia elettrica per sfruttare l'acqua di recupero. Sembra che qualcosa sia andato storto e l'acqua abbia invaso il passaggio.»
«Quelli dell'impianto sono riusciti a mettersi in contatto con l'osservatorio?»
«No, la linea telefonica è interrotta.»
«Dunque, non sappiamo se sono vivi o morti.»
«No, a quanto pare», convenne Fortier in un mezzo bisbiglio.
La notizia colpì Austin come una mazzata. Dopo aver tratto un profondo respiro, espirò lentamente sforzandosi di raccogliere le idee.
Ritrovata la lucidità, bofonchiò: «Informi il sovrintendente che voglio vederlo. Gli chieda di tener pronta una pianta dettagliata del sistema di gallerie. E faccia venire una barca che mi accompagni a riva». Austin si interruppe, rendendosi conto che stava abbaiando ordini al comandante. «Mi scusi, non volevo avere l'aria di un sergente istruttore dei marine. Questa è la sua nave, e i miei sono solo dei suggerimenti.»
«Suggerimenti ben accetti», replicò l'altro con un sorriso. «Non si preoccupi, mi stavo giusto chiedendo come procedere. Battello ed equipaggio sono ai suoi ordini.»
Il comandante riprese il microfono e si mise a parlare in francese.
Austin fissò il ghiacciaio attraverso il finestrino della timoniera. Il capo della squadra Missioni speciali della NUMA era immobile come una statua di bronzo, ma si trattava di una calma ingannevole. La sua agile mente lavorava a ritmo febbrile esplorando varie strategie, anche se sapeva benissimo che per il momento era tutto fumo e niente arrosto: impossibile fare un piano, sino a che non avesse scoperto esattamente che cosa aveva di fronte.
Ripensò alla smorfietta seducente dipinta sul viso di Skye mentre lasciava il battello. Era consapevole che le probabilità erano contro di lui, ma promise a se stesso che avrebbe rivisto quell'incantevole sorriso.